Luglio 1809. Cavarzere e i Briganti

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    Luglio 1809. Cavarzere e i Briganti 
    (Documenti di storia cavarzerana 1)
    Carlo Baldi
    Tipografia Tiengo, Cavarzere, 1984. Pagine 152


    Dal libro...

    Intanto, alla sinistra del fiume, continuano il saccheggio, le distruzioni, le violenze. I ribelli si recano alle case del podestà Mastini e di alcuni cittadini giudicati facoltosi: li costringono a versare somme per l'insorgenza.
    Accorre altra gente. Sono per lo più cannaroli e pescatori che dal 1797 hanno cambiato “padrone” parecchie volte. Nel 1797, all'arrivo dei “liberatori” francesi, s'erano illusi di poter finalmente ritornare a far canna e a pescare in tutte le valli, come da lungo tempo chiedevano. Parole nuove e allettatrici quali Popolo sovrano, Libertà, Eguaglianza avevano fatto intravedere una svolta inaspettata nella vita. Ma troppo presto avevano dovuto accorgersi che quelle erano, e rimanevano, appunto delle parole, mentre la loro miseria sembrava destinata a rimanere una realtà immutabile.
    Questi uomini hanno maturato la convinzione che chi detiene il potere sia deciso ad ignorare le loro rivendicazioni, e ciò li ha spinti tante volte a gesti di esasperazione e di violenza, cui hanno puntualmente corrisposto severe misure repressive. Si è creato così uno stato di permanente tensione e malcontento, che aspetta solo l'occasione propizia per tornare a manifestarsi un'altra volta. Ora, osservando la facilità e la sicurezza con la quale i briganti venuti da fuori agiscono, per nulla ostacolati da un'autorità militare che sembra anzi temerli, cannaroli e pescatori cominciano ad unirsi a loro. Tutti insieme, accresciuti di numero, passano l'Adige e si portano a Cavarzere Destro.
    Appena messo piede a terra, corrono al Municipio e alla Torre che sorge lì vicino, nell'ufficio del ricevitore comunale Nicolò Fava. Sotto un martellante scampanio inizia anche qui il saccheggio. La rabbia si scatena innanzi tutto contro le insegne del potere: gli stemmi posti sulla porta del Municipio e nella ricevitoria vengono ridotti in pezzi.
     Penetrati nel Municipio, infrangono le porte vetrate, mandano in frantumi i vetri delle finestre, ne scardinano i telai, danneggiano le pareti divisorie in arelle intonacate, lo riducono pressoché inagibile per il futuro.
    Dalle finestre del burò, il locale più vicino all'argine, cominciano a volare nel fiume le carte dell'amministrazione … Vengono asportate tutte le carte conservate nell'ufficio dello Stato civile; in quello del podestà, poi, neppure i ferri delle coltrine sono lasciati al loro posto.
    Ciò che non finisce in Adige va ad accumularsi sullo spiazzo antistante il Municipio, accanto ai resti degli stemmi abbattuti. Nella confusione, nell'urlìo, nel frastuono delle campane suonate a martello si va preparando la cerimonia del rogo, un vero rituale di quei giorni.
    Alle carte lanciate dalle finestre o scagliate dall'ingresso sulla loggetta si aggiungono le portelle divelte degli armadi, i cassetti dei tavoli e degli scrittoi, la bandiera tricolore, i bossoli per le votazioni del Consiglio, perfino la tromba con la quale, fin dai tempi della Repubblica di Venezia, il comandador richiamava l'attenzione della gente per la pubblicazione degli avvisi.
    Dalla ricevitoria dei Dazi Consumo si gettano le sedie e tutto il corredo di bollette, misure, contenitori, stampe che il ricevitore aveva avuto da poco per avviare il suo ufficio.
    Nel locale dell'Archivio vengono abbrancati i volumi più grossi e appariscenti, i documenti in filza a portata di mano. Tutte le carte relative alle amministrazioni dal 1797 al 1802 finiscono nel mucchio preparato per il rogo, assieme ad altre carte di pendenze giudiziarie e Processi Criminal in vecchio. Ma la devastazione viene interrotta: è forse troppo faticoso o disagevole asportare tutti documenti conservati nei 24 armadi dell'archivio...
    Gli insorgenti si impossessano delle poche armi della Guardia nazionale custodite nel palazzo; dal podestà Mainardi pretendono i denari che non hanno trovato nell'ufficio del ricevitore Fava...
    Prima che il fuoco sia appiccato, il podestà si adopera per salvare molti tra di documenti che gli sembrano più importanti, in particolare il libro detto Messale, contenente i documenti originali delle proprietà comunali...L'arciprete Francesco Mastini, fratello del podestà di Cavarzere Sinistro, azzardando la sua attempata e malferma persona nelle mischie degli stessi insorgenti, cerca invano di calmare gli animi, di evitare gli atti vandalici....
    Si appicca il fuoco. Si alzano le fiamme, distruggono alcuni elenchi dei collettabili, le liste dei coscritti, le bollette, i registri, tutto ciò che odiosamente rappresenta il governo. Ma brucia anche una parte dei documenti che testimoniano la storia del paese.
    Si bruciano le carte, che nella mente di quei poveri cannaroli simboleggiano tutte, senza distinzione, il sopruso troppo spesso praticato da chi sa leggere, e quindi usarle, a danno di chi non sa leggere. Si bruciano le carte, che in quegli anni con parole altisonanti hanno fatto tante promesse non mantenute; le carte, che nascondono sempre un inganno, un tranello, buone per metterti all'occorrenza dalla parte del torto, e che vanno quindi distrutte.

    ("Luglio 1809. Cavarzere e i Briganti”, pagg. 33-38)





    Recensioni e articoli


    R. Badiale, Il Comune, anno VI, n. 6, novembre-dicembre 1984

    B. Carletto, La Nuova Venezia, 18 dicembre 1984

    V. Tosello, Nuova Scintilla, 16 marzo 1986

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