Il tenente Antonio Belloni

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    La monumentale lapide posta alla base del campanile raccoglie i nomi dei soldati di Cavarzere morti durante la Grande Guerra. C'è stato un tempo ormai lontano in cui quei 378 nomi brillavano a caratteri dorati e ognuno di loro in qualche modo “viveva”, poiché restituiva un volto, suscitava ricordi nei famigliari, negli amici, nei commilitoni tornati dal fronte, in quanti davanti alla lapide sentivano pesare ancora nell'animo la vasta tragedia da poco finita.
    Ma a distanza di tanti anni, nel bronzo annerito dal tempo, stretti l'uno all'altro, ordinati come una truppa schierata per una solenne cerimonia, quei nomi hanno perduto ogni individualità. Intorno a loro si sono spenti suoni, immagini ed anche affetti. Ora sono soltanto, tutti insieme, “i Caduti”, davanti ai quali due volte l'anno si posano corone, si pronunciano discorsi sempre più brevi e scontati.
    In massima parte erano stati braccianti e contadini. Avevano lasciato il lavoro dei campi ai vecchi e alle donne, illusi forse che dopo la guerra la vita sarebbe cambiata in meglio. Invece, per i più, si concluse nei sanguinosi attacchi sotto i reticolati delle postazioni austriache, nei disperati assalti sulle pietraie del Carso. Per molti vi fu il doloroso calvario di ferite che non lasciarono scampo; per altri ancora furono le tribolazioni nelle trincee e le malattie a segnarne la fine.

    4 Novembre 2012 (foto di Flavio De Montis)

    L'impressionante tributo di sangue pagato da Cavarzere tenne nell'angoscia le famiglie per l'intera durata del conflitto. Un rapido conteggio ci mostra che in paese sarebbe potuta giungere ogni tre giorni la notizia di un soldato caduto, e questo nell'arco di ben 1260 giorni, quanti ne durò la guerra. Ma in realtà nei mesi invernali, quando le operazioni militari erano quasi ovunque sospese, ritornava un po' la tranquillità, e solo all'approssimarsi della bella stagione, con la certezza di nuovi scontri, la preoccupazione e l'ansia riprendevano vigore, sia nelle case che al fronte. Le battaglie si ripetevano a intervalli dalla primavera all'autunno. Nelle tre combattute fra la metà di settembre e il 4 novembre del 1916 quasi 50.000 soldati avevano perso la vita. Si può dunque immaginare come da noi dovettero esserci giorni davvero terribili, che portarono infine nel gennaio del 1917 madri, spose e figlie a scendere in piazza e manifestare decise contro la guerra, senza che le autorità comunali trovassero il coraggio di dissuaderle e fermarle.
    L'amministrazione socialista era in accesa polemica con i proprietari terrieri anche per rivendicare i diritti del vagantivo (1), mentre andavano moltiplicandosi atti vandalici e furti: gli effetti della disperazione nata dal sommarsi di tanti lutti con un'antica povertà, aggravata dalle restrizioni causate dalla guerra e dalla sfrontata speculazione degli accaparratori. (2) 
    “Gruppi di donne nella lontana campagna si presentano nelle corti e nei fondi, sia di giorno che di notte, a rubare legna o altro che capiti loro sottomano, e qualora siano scoperte dai guardiani li minacciano a mano armata.” (3)
    Il Governo, con decreto 28 gennaio 1917, sciolse il Consiglio comunale ed inviò a Cavarzere un commissario straordinario. Un provvedimento giustificato – era scritto - da ragioni di ordine pubblico, “essendo quella popolazione trascesa in pubbliche dimostrazioni con atti di violenza che fu ventura non abbiano avuto gravi ed irreparabili conseguenze”. Il sindaco Galeno fu accusato con la sua giunta di “inerzia” durante i disordini, e di aver inasprito, anziché attenuarli, i dissidi esistenti “con un'azione contraria ad ogni proposito di pacificazione, come sarebbe stato suo dovere nei difficili momenti che si attraversano.” (4)
    A maggio, “perdurando gravi motivi di ordine pubblico”, un nuovo decreto prorogava di altri tre mesi la presenza del commissario, che si troverà tuttavia a Cavarzere anche a fine anno, a dimostrazione che la miscela di lutti e di fame minacciava ancora pericolosi effetti.
    Delle vicende personali di quei nostri caduti non conosciamo pressoché nulla. Un accenno a qualcuno di loro capita di trovarlo nei giornali del tempo. Sappiamo così che Alessandro Fava dal fronte, dove si era battuto coraggiosamente, venne portato all'ospedale  militare di Asti, e vi morì il 20 novembre 1915.(5)
    Di Guido Colli, sottotenente di fanteria, La Stampa del 14 ottobre 1915 pubblicò la fotografia sotto il titolo “I nostri valorosi caduti”.
    Molto sappiamo invece di Antonio Belloni. Nato a Cavarzere il 22 dicembre 1893, di famiglia benestante, fidanzato con la nobile Maria Marfori-Savini, era iscritto a giurisprudenza presso l'Università di Padova. Non risulta che fosse fra gli studenti che manifestavano chiedendo impazienti l'intervento contro l'Austria: nulla più della violenza era infatti estraneo al suo carattere. Ma, all'inizio della guerra, quando la sua classe fu chiamata alle armi, partì deciso di compiere il suo dovere di soldato.
    “In un'indole così mite, così aperto ai più teneri affetti, alle più vagheggiate speranze, non si sarebbe creduto di riscontrare, appena partito per il fronte, tanta forza di volontà, sorretta da un entusiasmo indicibile. Era la visione della Patria pericolante a cui offriva braccia, mente e cuore, con la convinzione incrollabile della causa giusta per cui pugnava.” (6)
    Nominato tenente, “prese parte a ripetuti attacchi aerei – dichiarò il suo comandante – mostrandosi sempre calmo, ardimentoso, sprezzante del pericolo”. Si mostrò lieto e pronto al sacrificio anche nel ricevere l'ordine di portarsi in prima linea. Ma di lui – e dei suoi soldati – ci dice molto questa sua lettera, scritta pochi giorni prima di morire.

                                                                        
    Viscone, 14 Agosto 1917

    “... È notte ormai, tutto a me d'intorno parla di pace serena al cuore e allo spirito, che lieto e sicuro s'accinge al grande cimento.
    La serenità della mia mente è più che mai viva e con mano sicura scrivo queste poche parole, perché esse possano dare un po' di conforto a Coloro che mi amano, qualora anch'io, come tanti altri miei Fratelli prima di me, dovessi cadere sul campo dell'onore, sul Carso glorioso e sanguinante, col petto rivolto all'eterno barbaro oppressore, colla calma serena di chi sa che è onorevole e bello il morire così per una causa tanto nobile e santa, per un ideale di libertà e giustizia, che dovrà pur trionfare benedetto dal Dio di amore e di pace!
    Se cadrò, vorrò cadere da forte e onorevolmente, dopo d'aver dato tutto me stesso al bene materiale e morale dei miei cari soldati, che amo come parte del mio essere.
    Ci sono molti giovani fra i soldati della mia compagnia, che stasera all'annunzio della prossima partenza per l'azione, avevano le lacrime agli occhi come bambini... pensavano essi ai cari lontani, al loro babbo, alla loro mamma, alla fanciulla cui avevano consacrato il loro giovine cuore; altri, più vecchi, pensavano alla famiglia lontana, alla moglie e più ai giovani figli che avevano allevati a costo di tanti sacrifici e che forse un dì dovranno tanto soffrire, privi di colui che li sostiene!
    Dirò a loro tutti una parola di Fede, d'incoraggiamento, vorrò esser sempre di esempio nel compimento del mio dovere, vorrò vivere e soffrire insieme a loro nelle trincee, vorrò patire gli stessi disagi, affrontare gli stessi pericoli, aiutarli, proteggerli, morire con essi, se così è decretato da Colui che tutti regge i destini degli uomini, se ciò è necessario per il bene della Patria immortale, per la prosperità e la sicurezza avvenire della Nazione Italiana!
    Nella mia vita ho sempre cercato di seguire con tutte le mie forze la via della virtù e del dovere, ho avuto gli ideali più nobili e puri di verità, di giustizia e d'amore: ora mi preparo all'aspro, duro cimento con la calma serena dei forti, di coloro che hanno la grazia di credere e di sperare in una vita migliore di questa, in cui solo il bene trionfi, in cui si possa finalmente liberarsi di tutte le umane miserie, e ascendere verso le più pure Cime, dove tutto è luce e amore, dove si possa finalmente raggiungere quella felicità, che invano tentiamo conseguire quaggiù, in questo doloroso esilio d'infelicità e di miserie continue...
    Son sicuro che non tutto finisce con la morte del corpo destinato a tornare alla terra da cui ha origine, e che l'Anima, che è la parte più nobile di noi stessi, e la più pura, che è quella che dà luce e vita a queste misere spoglie, l'Anima nostra, dopo il grande trapasso, liberatasi da tutto ciò che è umano e perciò corruttibile e soggetto a colpe e ad errori, vola in Cielo più bella e splendida di vivida luce, di letizia e di gaudio, e si avvicina al suo Creatore presso il quale solo troverà la vera pace, la vera felicità indistruttibile ed eterna!
    Do ben volentieri la mia giovine esistenza alla Patria adorata, sperando che anche il mio tributo di sangue sull'altare a Lei sacro, valga con quello di altre migliaia di martiri e di eroi al trionfo finale della guerra santa, della guerra redentrice!
    Il sapere ciò sia di conforto a tutti coloro che adoro, perché so che hanno riposto in me tutto il loro amore, tutta la loro fede, e lenisca il loro dolore la sicurezza ch'io ho dato la mia vita colla calma dei forti e la serenità dei martiri.
    Iddio li aiuti tutti a superare la grande prova...

    Ma ormai la notte è inoltrata, la stanchezza mi invade, devo riposare per domani adempiere meglio la mia missione, infondere conforto e Fede ai miei cari soldati che mi dimostrano molto affetto, e che vorrò condurre alla vittoria sul crudele nemico!” (7)


    Il tenente Antonio Belloni


    Il 17 agosto ebbe inizio l'undicesima battaglia dell'Isonzo. Il giorno 20 il Belloni si trovò impegnato con i suoi uomini sul Monte Faiti, la cui presa nell'autunno del 1916 ci era costata migliaia di vite ma che gli austriaci avevano poi riconquistato e i generali italiani volevano ora nuovamente riprendersi.
    Da una lettera di Padre Giacomino, cappellano militare del 112° Reggimento di fanteria, all'arciprete di Cavarzere Don Caio Rossetti:

    “Il tenente Belloni morì non durante l'assalto, a cui partecipò con slancio veramente meraviglioso pochi minuti prima, ma per compire una opera pietosa. Deve sapere, Rev.mo, che durante quest'assalto parecchi dei nostri caddero da eroi a ridosso delle trincee nemiche, e tra questi il tenente Maggioni da Milano. Dico a ridosso delle trincee nemiche, quindi impossibilità da parte nostra di riacquistare le salme dei nostri caduti.
    Il Belloni però, ritornato dall'assalto, manifestò subito la sua idea ferma e risoluta di voler ricuperare la salma del caro tenente Maggioni. Fu dissuaso da tutti. Ma egli più tardi uscì col suo attendente per compir l'opera pietosa, e carpon carponi penetrò nei reticolati nemici. Erano vicini ormai al povero Maggioni, quando furono scoperti e fatti bersaglio d'un fuoco indiavolato di fucileria e mitraglia. Non si mossero più, furono fulminati. Alla notte seguente noi avemmo il cambio, e tra le salme insepolte del Faiti lasciammo pure quella del povero Belloni con nostro immenso dispiacere.
    Il Faiti è ancora in mano del nemico disgraziatamente. Colla presa però del San Daniele e del San Marco, il Faiti cadrà ed allora si troverà certo la salma del Belloni seppellita dagli stessi Austriaci. È loro costume raccogliere e seppellire per bene i morti che si trovano vicino alle loro trincee. Speriamo.” (8)

    Nel trigesimo della morte fu celebrata in Duomo una messa di suffragio del Belloni, che l'arciprete ricordò con queste parole:
    “Studente, soldato, ufficiale, noi tutti lo ricordiamo commossi prostrato quasi ogni giorno là all'altare Eucaristico, cibarsi devoto del Pane dei Forti; lo ricordiamo visitare ginocchioni, a mani giunte, fissi gli occhi al Tabernacolo santo, Gesù, nascosto sotto i mistici veli del Sacramento d'amore, esempio di cristiana pietà a tanti che, pure credendo, hanno paura di fare ciò che credono.
    Forse il mondo, i cui giudizi sono quasi sempre fallaci, avrà talvolta trovato per lui uno di quei tanti frizzi mordaci di cui è inesauribile inventore, forse l'avrà stimato un imbelle, ma la sua morte eroica e gli elogi dei superiori e dei commilitoni stanno lì a dimostrare che non albergava la paura in quel cuore!” (9)
    L'arciprete concluse con l'auspicio che presto con la vittoria ritornasse la pace. Ma all'undicesima battaglia, finita in due settimane con 40.000 morti, 108.000 feriti e qualche vantaggio territoriale, stava per seguire la dodicesima. Fu allora che un giovane ufficiale tedesco, Rommel, dilagando da Caporetto verso la pianura insegnò ai generali che c'era un altro modo per condurre un'azione militare, assai più vantaggioso sul piano strategico ed enormemente meno dispendioso in vite umane.



    Disegno di Stefano Novo che allude ai massacri del 1917 (coll. Massimo Novo).

    Ma a Cavarzere si vissero giorni drammatici. Nella previsione che gli austriaci superassero la linea del Piave fu deciso di apprestare difese lungo l'Adige, le quali comportarono, nel nostro Comune, l'allagamento dei terreni a nord del Gorzone.
    Nel paese invaso dalle truppe in ritirata, con i soldati accampati ovunque, riparati anche nelle case private, mentre nei dintorni si apprestavano ospedaletti, alla confusione e ai disagi si aggiunsero inevitabili molestie. In quello scenario che sembrava annunciare la disfatta, tra i duemila prigionieri di nazionalità romena che già da tempo si trovavano a Cavarzere, andò rafforzandosi il proposito di combattere al nostro fianco contro “l'eterno comune nemico”. Il 28 giugno 1918 – come testimonia uno scritto del pittore concittadino Stefano Novo – il primo nucleo di volontari romeni riceverà con una “commovente” cerimonia a Ca' Venier il vessillo rosso-giallo-azzurro, sotto il quale si comporteranno da valorosi  nei restanti mesi di guerra. (10)

    Carlo Baldi, 25 marzo 2013


    Invocazione della scrittrice cavarzerana Adele Albieri


     NOTE

    1 - I conati dei vinti. Lettera 23 novembre 1916 del sindaco A. Galeno. Tip. Franzoso e Osellieri, Cavarzere 25 novembre 1916.

    2 - Avvisi 3 settembre e 3 novembre 1916 del sindaco A. Galeno.

    3 - Nicola Badaloni, Gino Piva e il socialismo padano veneto. A cura di Giampietro Berti. Rovigo, Minelliana, 1998. Pag. 169 (nota del prefetto, 16 febbraio 1917). 

    4 - Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia. 19 marzo 1917. Pag. 1391.

    5 - La Stampa, 21 novembre 1915.

    6 - In memoria di Antonio Belloni. Tip. del Seminario, Padova, 1917. Pag. 18.

    7 - In memoria... Pag. 7-9.

    8 - Lettera 7 settembre 1917. Padre Giacomino, cappellano militare del 112° Reggimento di fanteria, all'arciprete Don Cajo Rossetti. (Archivio Parrocchiale di Cavarzere).

    9 - In memoria... Pag.32-33.

    10 - La crisi dello Stato liberale dalla I guerra mondiale all'avvento del fascismo. Atti dell'ottavo Convegno di studi sul Risorgimento in Puglia. Conversano, Edinorba, 1993. Pag. 196.

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