Il gruppo dell'Assunta a Ca' Labia - Ipotesi sulla sua composizione originale

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    I

    Il mirabile gruppo della Vergine Assunta e dei due Angeli adoranti custodito nella chiesetta di Ca' Labia lo si è ritenuto a lungo opera del Bonazza; una generica attribuzione ottocentesca, accolta ancora nel 1954 dal Muraro. In seguito, Camillo Semenzato escludeva che l'autore fosse Giovanni Bonazza o uno dei suoi fratelli, proponendo dapprima il nome di Giuseppe Bernardi detto il Torretto, e poi quello di Francesco Filippini. Da ultimo Giorgio Meneghetti, tenendosi in bilico fra i contrastanti pareri del Muraro e del Semenzato, indicava le sculture – che riconosceva di “squisita fattura” – come “attribuibili a uno dei Bonazza... o a Francesco Filippini”.
    Da un simile stato d’incertezza ha preso avvio una ricerca di Simone Guerriero. Colpito dall’alta qualità delle statue, che subito gli sono parse vicine ai modi dei Marinali, ha deciso d’indagare in tale direzione, giungendo infine alla convinzione che il gruppo dell’Assunta appartiene al più giovane di essi, Angelo (Angarano 1654 – Vicenza 1702), fratello di Francesco e di Orazio, quest’ultimo ritenuto il maggior scultore veneto del Seicento. Si tratta del primo lavoro approfondito dedicato alle statue, ed ha il merito di proporle col giusto rilievo all’attenzione degli studiosi sottraendole – almeno sulla pagina scritta – all’oblio cui sembrano destinate, visibili come sono una sola volta l’anno, la festività del 15 agosto.
    Nell’indagine di Guerriero s’intrecciano analisi stilistiche e riscontri d’archivio, cioè un buon numero di lettere datate dal 1693 in poi, tratte dal carteggio fra lo scultore e il conte Angelo Maria Labia. In quegli anni il Marinali stava lavorando per abbellire con moltissime statue la villa, le foresterie e il giardino del Labia a Mira. Era una residenza al cui fasto il conte teneva in particolar modo. L'aveva acquistata dai Contarini e fatta modificare, perché ben figurasse nella parata di residenze patrizie lungo le rive del Brenta. A un certo punto il conte aveva deciso di ornare anche l’altare della cappella ricavata in un ambiente della villa e intitolata all’Assunta. Il Marinali ideò allora una composizione che dietro la Vergine, alla quale si volgevano dal basso due grandi angeli, si sviluppava in altezza con una cortina di nubi animata da angioletti volanti e da busti di cherubini.
    Il progetto piacque, e lo scultore si mise all’opera. Le tre statue maggiori furono pronte sul finire del 1696, quando vennero spedite in barca da Vicenza a Mira. L’artista se ne dichiarava molto soddisfatto, specie della statua della Vergine scolpita “con aplicatione non fretolosa, ma considerata”. “Spero d’eternare alla Mira – aveva scritto – il mio nome nell’Imagine di Maria Santissima ponendovi il più fine del mio operare”. Poi gli anni passarono, e già nel 1747 un’incisione del Costa mostrava la villa di Mira pressoché spogliata delle sculture che l’avevano abbellita, come invece appariva in una tavola incisa dal Coronelli nel 1711.

    V. Coronelli: Palazzo Labia. Incisione del 1711

    G. F. Costa: Palazzo Labia. Incisione del 1747

    Quando in tempi recenti si cercò di ricostruire l’attività di Angelo Marinali ci si trovò di fronte a una domanda senza risposta: dov’erano finite le statue della cappella? Se ne era infatti smarrita ogni traccia, sicché vennero considerate disperse. Simone Guerriero ritiene di averle ora trovate a Ca’ Labia, e gli argomenti portati a sostegno della sua tesi sono pienamente convincenti.
    Tuttavia egli scrive che le statue sarebbero giunte da noi verso la metà dell’Ottocento, prima che la villa di Mira fosse consegnata dai Labia al conte Nardi, cui l’avevano venduta. “Credo sia dunque possibile ipotizzare – dice – che il Labia abbia voluto ‘salvare’ le statue della cappella gentilizia destinandole all’oratorio dell’altra villa della famiglia presso Cavarzere”. A sostegno di questa ipotesi riferisce che nella relazione di una visita pastorale all’oratorio nel 1748 non si fa alcun cenno alle statue, mentre in occasione di un’altra visita nel 1874 si trovano espressamente nominate. Riporta poi la notizia delle nozze della cavarzerana Teresa Danielato con un conte Labia nel 1851, sottintendendo che i Labia quell’anno fossero ancora padroni della tenuta di Corcognan, il toponimo originale di Ca' Labia.
    Ma le cose non stavano affatto in questo modo. L'Assunta e gli Angeli – a mio parere – il viaggio da Mira l’avevano già compiuto negli anni precedenti il 1745.
    Vediamo quali prove o indizi suggeriscono la presenza delle sculture a Cavarzere da oltre due secoli e mezzo. L’oratorio fu costruito da Paulo Antonio, il primogenito di Angelo Maria Labia. L’autorizzazione per la posa della prima pietra reca la data del 24 settembre 1724, ma la cerimonia poté compiersi soltanto il 30 agosto 1726. L’oratorio venne benedetto il 17 luglio 1728, l’anno in cui Paulo Antonio morì lasciando come erede il fratello. Prima di morire aveva istituito un beneficio perpetuo (mansionaria) per il mantenimento d’un sacerdote che celebrasse la messa nei giorni festivi per i contadini del luogo e insegnasse la dottrina cristiana ai loro figlioli. Nella lettera dell’arciprete attestante l’avvenuta benedizione l’oratorio risultava dedicato all’Assunta: “Oratorium NN. HH. de Labia sub titulo B.M.V. Assuntae”.
    Durante la sua visita pastorale, il 21 maggio 1745, il vescovo Giustiniani trovò nella chiesetta “altare unicum ex marmore,...B. Mariae V. simulacro conspicuum”: “l’unico altare di marmo...ragguardevole per un simulacro della B. Maria V.”, e cioè per una statua (o per un gruppo di statue) che dava nell’occhio, che si imponeva alla vista e probabilmente si ammirava lì per la prima volta.
    Il riferimento all’Assunta mi sembra evidente, e una prova indiretta la trovo scorrendo l’inventario dei beni mobili steso il 28 marzo 1765 subito dopo la morte del conte Paulo Antonio Labia, nipote del Paulo Antonio nominato poc’anzi. Vi sono minuziosamente elencate le suppellettili dell’oratorio: oggetti necessari al culto, crocefissi, dipinti, ecc. Non v’è però alcun cenno all’Assunta, cui pure l’oratorio era intitolato. Non un quadro, non una qualsiasi immagine. La ragione è intuibile: poiché l’Assunta era rappresentata da una statua che era parte integrante dell’altare, e perciò un bene immobile, il perito non l’aveva inclusa nei suoi elenchi.
    Per Elena Bassi, fu proprio questo secondo Paulo Antonio – marito della bellissima Fiordelise Emo – a spogliare la villa di Mira delle sculture che l’abbellivano. Non si conoscono i motivi che lo indussero a manomettere una residenza cui pochi anni prima il nonno aveva dedicato tante cure. L’interesse del conte doveva essersi concentrato su altre dimore. Il fatto che le opere esterne del Marinali fossero state vendute o trasferite altrove dal nuovo proprietario (succeduto al padre nel 1738) ci consente di supporre che anche le statue della cappella siano state tolte nel giro di quegli anni. Se Paulo Antonio aveva fatto rimuovere le statue dalla sommità delle foresterie impoverendo decisamente la parte più rappresentativa della villa, perché non avrebbe potuto far smontare quelle dell’altare poste all’interno e trasferirle in un altro oratorio, parimenti dedicato all’Assunta, quello appunto di Corcognan?
    Nel palazzo di Corcognan tutto appariva predisposto non per fuggevoli, rare visite del conte, ma per comodi soggiorni di più persone, magari una brigata di amici giunti per la caccia nelle vicine valli, come mostravano le rastrelliere per gli schioppi, le fiaschette di polvere e le buste di pallini conservate in una stanza del palazzo.
    Alla sua morte Paulo Antonio lasciò la barchessa con la scuderia e la campagna ai figli, ma volle riservare il palazzo e la chiesetta a Fiordelise. Il segno, forse, d’un particolare ricordo, d’una consuetudine che dovevano aver legato a Corcognan i due coniugi. Per loro il Tiepolo aveva affrescato in maniera superba il salone della dimora veneziana a San Geremia, celebrando il conte e la moglie sotto le apparenze di Antonio e Cleopatra. S’erano sposati nel 1738 e il primo figlio era arrivato nel 1745, lo stesso anno in cui per la prima volta veniva annotata la presenza dell’Assunta (come credo) sull’altare della chiesetta.
    Una presenza che del resto ben s’accordava con la cinquantina di quadri che nel palazzo coprivano le pareti della sala al piano nobile, delle camere da letto e di altri ambienti. Sarebbe stato davvero strano che al decoro ricercato per l’interno del palazzo (e perfino della scuderia, le cui pareti sotto uno spesso strato di calce conservano le tracce di eleganti decorazioni geometriche in rilievo e a due colori) avesse fatto riscontro la povertà dell’oratorio aperto al pubblico. A renderlo degno del conte e di Fiordelise, che vi si recavano per la messa o per raccogliersi in preghiera, come potevano bastare un quadretto dedicato a S. Eurosia (la si invocava per la pioggia o per allontanare la tempesta), due tele raffiguranti il Vitello d’oro e una con San Francesco appesa sopra la porta d'ingresso? Poteva invece bastare lo splendido gruppo del Marinali.

    L'oratorio di Ca' Labia.

    Sopraggiunse la bufera napoleonica e i Labia nel 1801 vendettero i beni di Corcognan al notaio Marc’Antonio Mainardi. Il contratto riporta che l’oratorio venne ceduto “con quanto in esso si attrova, e sue suppellettili”. Una significativa precisazione, la quale a parer mio conferma di nuovo l’esistenza delle statue: da una parte tutti gli oggetti costituenti l’arredo della chiesetta, dall’altra ciò che i Labia non intendevano rimuovere e portarsi via. Il venditore non solo lasciava la chiesetta nello stato in cui si trovava – mentre, al contrario, il palazzo veniva ceduto spoglio d’ogni cosa – ma anzi, per onorare la volontà espressa nel 1728 dal primo Paulo Antonio, consegnava a Mainardi un capitale di 800 ducati per garantire in futuro lo stipendio del sacerdote: 40 ducati annui, corrispondenti all’interesse del 5%.
    Negli anni successivi Marc’Antonio fece porre davanti all’altare una lastra tombale recante lo stemma dei Mainardi, evidentemente la stessa che aveva ricoperto l’antica “arca” di famiglia nella chiesa di Santa Maria Maddalena, demolita dopo la consacrazione del nuovo Duomo.
    Mainardi e i suoi figli erano uomini di legge e, dati i tempi favorevoli, anche uomini d’affari. Raccolsero e conservarono con scrupolo notarile gli atti relativi a tutti gli acquisti che andavano pian piano impinguando il comune patrimonio di famiglia. Ma conviene notare che nelle loro carte non si trova alcun cenno ad un separato acquisto dopo il 1801 delle tre statue, le quali dunque si trovavano già nella chiesetta quando i Labia l’avevano venduta.
    Al loro oratorio – che i figli di Marc’Antonio vollero mantenere intestato a tutta la famiglia anche quando lo cedettero di fatto, nel 1831, al fratello maggiore, Francesco, impegnandolo al pagamento in perpetuo della mansionaria – i Mainardi furono molto legati per motivi di prestigio oltre che per ragioni affettive. Rappresentava un non comune segno di distinzione fra la borghesia paesana; la prova d’una posizione sociale che non si esprimeva soltanto con la proprietà di migliaia di campi. Esso si intonava all’alto livello culturale di alcuni membri della famiglia, ai loro successi professionali, alle ambizioni letterarie, ai rapporti d’amicizia coltivati con esponenti della nobiltà: Albrizzi, Polcastro-Querini Stampalia, Pisani-Barbarigo, Baglioni, Giovannelli.
    Francesco Mainardi lasciò nel 1856 i beni di Corcognan, compreso l'oratorio, all'unica nipote Laura, sposa di Francesco Beadin, che fu sindaco di Cavarzere nel 1895. Nei primi decenni del Novecento il complesso storico di Ca' Labia passò infine dai Beadin agli attuali proprietari, i signori Converso.
    Ignoro se il rosso drappeggio dipinto che decora il presbiterio si debba ai Mainardi. Sembra, osservando l’esterno dell’oratorio, che sulla  parete di fondo, a mezzogiorno, si aprisse anticamente sotto la volta una finestra a lunetta dalla quale la luce, specie nel meriggio, poteva scendere a irradiare la Vergine. Oggi, nel silenzio e nella penombra dell’oratorio non più officiato, isolata ormai dalla vita della piccola borgata di cui per secoli è stata il centro spirituale, l’Assunta alza ancora lo sguardo al cielo; leggera nel suo ampio gesto continua a ricevere l’omaggio dei due Angeli adoranti, i quali nel nome ricordano l’antico committente e l’artista convinto d’aver scolpito in Lei il proprio capolavoro (1).


    II

    L'altare della Immacolata. Basilica di Sant'Anastasia, Verona

    Il trasferimento delle statue da Mira a Cavarzere prima del 1745 – e non intorno alla metà dell'Ottocento come ipotizzato da Guerriero – rende ancor più convincente la loro attribuzione ad Angelo Marinali. E aiuta forse a ritrovare anche la scenografia originale ideata come sfondo per l'Assunta. Così lo scultore ne aveva descritto il progetto al conte Labia: “Non vi ho fatto adornamento di soaza; ma solo Angeli, e nuvole; sì che dirò che il tutto deve esser di marmo, cioè la Beatissima Vergine, li doi Angeli e le nuvole a basso; le nuvole che circondano la Beatissima Vergine dal mezo in su devono esser di marmo greco, che saranno di color di cenere, nel mezo poi delle dette doverà esser di color giallo, come color di Gloria del Ciello, e vi doverano esser mezzi cherubini, con diversi angeletti volanti il tutto di marmo” (2). In alto, due “puttini” avrebbero “coronato” l'Assunta reggendo sopra la sua testa una ghirlanda (3).
    Questa descrizione, che ben conoscevo, mi è tornata in mente visitando la basilica di Sant'Anastasia a Verona, quando mi sono trovato davanti all'altare dell'Immacolata Concezione. La Madonna, con ai piedi San Giuseppe e Sant'Antonio, aveva anche qui alle spalle un'ampia cortina di nubi popolate di mezzi cherubini e conclusa in alto da due piccoli angeli originariamente protesi a reggere qualcosa. Il gruppo è attribuito, come opera tarda, a Orazio Marinali, una coincidenza che mi ha fortemente incuriosito e per la quale mi sono posto una domanda: c'è un legame tra questa scenografia di nubi e angeli e quella che incorniciava l'Assunta nella villa di Mira?
    Questi i due riferimenti più antichi all'altare dell'Immacolata. Venne acquistato e collocato nella cappella Bevilacqua Lazise in Santa Anastasia nel maggio del 1809, trasferendolo dall'oratorio della Concezione che sorgeva accanto alla chiesa veronese di Santa Maria in Chiavica, entrambi soppressi nel 1806 (4). Ed ecco la descrizione del suddetto oratorio fatta da G. B. Lanzeni: “Su l'altare in scoltura di marmo, la Vergine Concetta, Ss. Giuseppe ed Antonio: opera di Orazio Marinali; il dissegno dell'altare è del cavalier Rossetti. Nel d'intorno, un fregio di quadri geroglifici, e istorie di detta Concezione, opera di Simon Brentana, che fece anco il soffitto in tela e oglio, figurato...” (5).
    Il testo così preciso del Lanzeni – che scriveva nel 1720, l'anno in cui Orazio Marinali moriva  – non nomina la decorazione che oggi si ammira in Sant'Anastasia e che un cenno l'avrebbe invece meritato, se non altro per le monumentali proporzioni. Sull'altare dell'oratorio c'erano forse a quell'epoca soltanto le statue dell'Immacolata e dei due Santi?
    Viene da pensarlo osservando con attenzione alcuni particolari, i quali mi sembra avvalorino l'ipotesi che solo più tardi la scenografia di nubi e cherubini sia stata aggiunta e adattata al preesistente gruppo dell'Immacolata. Si vedono San Giuseppe e Sant'Antonio letteralmente incastrati fra le nuvole in primo piano, alla morbida rotondità delle quali i basamenti su cui essi poggiano non s'accordano per forma e nemmeno per materia. Ad eccezione delle tre statue, dei due angeli al sommo e dei molti cherubini con le nuvolette su cui sono adagiati, l'intera composizione appare infatti modellata in stucco. Un intervento di chiaro gusto barocco, per cui è da escludere sia stato ideato al tempo del trasferimento in Sant'Anastasia, in piena epoca neoclassica.
    L'insieme dell'Immacolata risale dunque al Settecento; ma come dimostrare un suo rapporto con la nostra Assunta?





    Quattro particolari dell'altare dell'Immacolata nella Basilica di Sant'Anastasia (foto Milo Baldi)

    La risposta sta forse nella vicenda di Giacomo Cassetti. Nato nel 1682 a San Bruson, a soli tre chilometri da Mira, figura giovanissimo fra i garzoni di Angelo Marinali negli anni in cui egli era impegnato a decorare la residenza dei Labia. In due lettere del 1696 il Marinali informa che il putello sarebbe partito per Vicenza (6), dove infatti seguì lo scultore rimanendo con lui fino alla sua morte, nel 1702. Passò allora con Orazio, del quale quattro anni più tardi avrebbe sposato la figlia. Ormai abile scultore egli stesso, il Cassetti divenne il più valido collaboratore di Orazio e dal 1720 si trovò a dirigere insieme al cognato l'avviatissima “bottega” dei Marinali.  
    Vedo ora che dopo approfondita analisi stilistica la statua dell'Immacolata è stata di recente assegnata non più a Orazio Marinali, ma al Cassetti (7). Ecco dunque un possibile aggancio col gruppo dell'Assunta, che senza dubbio il Cassetti ben conosceva. Credo plausibile che il conte Labia, presa la decisione di spogliare la residenza di Mira – e si trattava di decine di grandi statue – abbia pensato di rivolgersi, magari solo per il trasporto e la sistemazione in altra sede o per riuscire più facilmente a trovare un possibile acquirente, alla “bottega” dalla quale erano uscite quarant'anni prima, la quale continuava a rifornire di statue chiese, palazzi e giardini. Se così fu, una volta spedita a Cavarzere l'Assunta con i due angeli, perché il Cassetti e il cognato (il figlio di Orazio) non avrebbero potuto adoperarsi, per un comprensibile orgoglio personale e famigliare, affinché qualcosa almeno del restante apparato, ormai inutile nella cappella di Mira, andasse ad arricchire l'altare dell'oratorio veronese? La probabile diversa posizione o misura dei due altari, la necessità di far posto al globo che regge l'Immacolata scolpita a tutto tondo e la difficile collocazione dei due Santi obbligarono probabilmente a rifare l'insieme in stucco. Il posto delle nuvole gialle “come color di Gloria del Ciello”, alle quali era addossata la schiena piatta dell'Assunta, venne occupato dai raggi dorati su fondo azzurro e sullo stucco opaco furono applicate le parti in marmo asportabili: i cherubini con alucce sopra le “nuvole beretine (grigie)” che Angelo Marinali aveva scolpiti a parte (8). Alcuni, tolti dalle loro nuvolette, furono disposti ad ornare il globo, per collocare il quale andarono perduti, tranne uno, gli “angeletti” interi che si presume sostenessero l'Assunta.

    Il gruppo dell'Assunta inserito nell'altare dell'Immacolata

    Una ricostruzione campata in aria? Non del tutto, forse. Lo proverebbe il fotomontaggio con le statue di Ca' Labia. Le nuvole della base si accordano ora a quelle rotondeggianti che sostengono i due angeli, le cui ali ricompongono la perfetta simmetria ancora evidente nella parte superiore in Sant'Anastasia. E al centro anche il bordo delle nubi si adatta bene al movimento delle vesti ed al braccio alzato della Vergine che sale al cielo. È da notare poi che gli angeli, collocati più in basso rispetto a Ca' Labia, puntano adesso lo sguardo sull'Assunta e non sopra di Lei, come invece si vede nel nostro oratorio.
    Ma a provare che sull'altare di Sant'Anastasia c'è davvero qualcosa di Angelo Marinali potrebbe essere anche un esame dei due “puttini”  destinati a reggere una corona o un cartiglio: nel giugno del 1696 lo scultore informava il conte Labia di averli già spediti da Vicenza, ma senza le ali, che avrebbe portato in seguito di persona (9).

    Carlo Baldi, 6 agosto 2017



    Note

    1 – Per le note relative a questa prima parte vedi “L'Assunta e i suoi due angeli” in C. Baldi,  Cavarzere giacente humile fra palustri canne, Mariotto, 2003, pagg. 303-311.

    2 – S. Guerriero, Per Angelo Marinali, in Atti dell'Istituto Veneto di  Scienze, Lettere ed Arti. Tomo CLV (1996-1997), Venezia 1997. Pag. 379, Lettera 29 settembre 1693.

    3 – Ibidem, Lettere 29 dicembre 1693 e 18 settembre 1695.

    4 – G. Peruffi, Notizie spettanti la chiesa di Sant'Anastasia... Verona, 1809. Pag. 17.

    5 – G.B. Lanzeni, Ricreazione pittorica o sia notizia universale... Verona, 1720. Pag. 51.

    6 – C. B. Tiozzo, Angelo Marinali scultore e il carteggio Labia, Loreggia, 1999. Pag.100. Lettere 12 e 21 agosto 1796.

    7 – M. De Grassi, Giacomo Cassetti e l'eredità Marinali. Pag. 345-346. In La scultura veneta del Seicento e del Settecento. Nuovi studi, Venezia, 2002.

    8 – S. Guerriero, cit, Pag. 385, Lettera 13 ottobre 1696.

    9 – C. B. Tiozzo, cit. Pag. 97, Lettera 7 giugno 1696.


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