Dove era e come era

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    "Dove era e come era"
    Storia del Duomo di Cavarzere distrutto e riedificato
    Carlo Baldi
    Tipografia Tiengo, Cavarzere, 2006. Pagine 46


    Dal libro...

    Era venato di rimpianto in mons. Giuseppe Scarpa il ricordo di quella vigilia natalizia, quando il Duomo di San Mauro, terminati da poco i lavori di riattamento e decorazione, si era presentato in tutto il suo splendore.
    Per anni lo aveva seguito come una creatura: con energia ne aveva sollecitato il restauro, con entusiasmo proposto l’abbellimento. Le ultime cure erano state per il triplice organo. Lo avevano tolto dalla camera pericolante in cui era sacrificato, distribuendo le sue 3500 canne sulle due cantorie dominanti l’altar maggiore, ed era stato una rivelazione. Messo in libertà, aveva fatto gustare la potenza e la dolcezza dei ripieni, la delicata espressione anche dei più leggeri registri che nessuno aveva mai potuto percepire.
    Adesso che ogni cosa era compiuta, all’arciprete piaceva sostare nel tempio certi pomeriggi, quando la luce filtrando attraverso i vetri colorati lo immergeva in un’atmosfera d’oro. Altre volte si fermava a considerare del Duomo l’imponenza e la praticità: la sensazione di una vastità superiore alla reale era suggerita dall’abbraccio del presbiterio con l’unica navata, che libera da ostacoli permetteva ovunque ai fedeli di seguire il celebrante, anche nelle occasioni in cui la gremivano all’inverosimile. Una navata dall’ottima acustica per la forte curvatura del soffitto a cuna, alto come l’archivolto che si apriva sul presbiterio.
    E non si stancava di ammirare le linee armoniose, nei particolari e nell’insieme, risalendo con lo sguardo dalla doppia parata degli altari fino ai riquadri che mostravano il martirio e la gloria di San Mauro, dipinti a tempera qualche anno prima dal Corompai alla maniera tiepolesca, con i cieli che sembravano squarciare il soffitto per lanciarsi nell’azzurro dello spazio.
    Ma era stabilito che tutto fosse cancellato. I sussulti e lo spostamento d’aria nel corso dei bombardamenti fra luglio ed agosto del 1944 causarono i primi danni. Caddero in frantumi i vetri istoriati dei grandi finestroni, una larga fenditura si aperse dietro l’altare di Sant’Antonio, sul tetto le tegole a decine volarono via o si ruppero.
    “Stringe il cuore vedere il nostro magnifico Duomo, che con sudori di sangue ero riuscito di recente a restaurare radicalmente e a decorare – scriveva a fine ottobre l’arciprete, supplicando urgenti riparazioni che si tardava ad eseguire – stringe il cuore vederlo già deturpato.”
    Larghe chiazze d’acqua piovana andavano alterando le tempere del soffitto, angoscioso preannuncio della catastrofe che sarebbe sopraggiunta di lì a qualche mese. La devastazione degli ultimi convulsi giorni di guerra avrebbe vanificato gli sforzi profusi dal vecchio sacerdote, e tolto a Cavarzere il monumento artisticamente più significativo, nel quale per quasi due secoli erano andate sommandosi testimonianze di fede, di generosità, di senso civico, di orgoglio cittadino.
    Un monumento che già nella progettazione aveva prefigurato con la sua mole le aspirazioni di una comunità in crescita, avviata a sciogliersi da un destino di miseria che era parso immutabile. Ed ora, rimesso a nuovo, simboleggiava – come il Municipio e la Torre campanaria ricostruiti a fine Ottocento con eguale grandiosità – il cammino di riscatto di Cavarzere, non più borgo prigioniero di malsane distese vallive, ma decorosa cittadina adagiata su una fertile campagna.

    (“Dove era e come era”, pagg, 9-11)

    L'interno del Duomo settecentesco agli inizi del '900 (Coll. Duilio Avezzù)

    L'interno del Duomo dopo il restauro voluto da Mons. Scarpa (Coll. Duilio Avezzù)

    L'interno del nuovo Duomo nel 1960 (Coll. Carlo Baldi)


    Recensioni e articoli:

    P. Fontolan, La Piazza di Cavarzere, settembre 2006

    P. Fontolan, La Piazza di Cavarzere, dicembre 2006

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