Teatro Comunale Tullio Serafin Cavarzere

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    Teatro Comunale Tullio Serafin Cavarzere
    Testi di Carlo Baldi, foto di Duilio Avezzù
    Grafiche Mariotto, Cavarzere, 2008. Pagine 112


    Dal libro...

    Al loro primo ingresso nella sala teatrale, molti con lo sguardo meravigliato vagheranno dall’allegoria del soffitto ai ritratti nei tondi, dal gioco degli stucchi alle delicate tracce di una precedente decorazione pittorica. Negli occhi si leggerà la sorpresa per l’insospettata esistenza di un simile ambiente, che nelle modeste dimensioni conserva qualcosa di intimo, di famigliare. Uno spazio al quale il muto colloquio dei personaggi raffigurati – Alfieri e Rossini, Goldoni e Paisiello, – il volo degli amorini intorno alla Musica, lo splendore dei lampadari di Murano e l’eleganza degli arredi donano un’aura di antico decoro e quasi di nobiltà.
    Superstite reliquia del passato, per miracolo sfuggito alle distruzioni del 1945 e riconsegnato ora ai cavarzerani, il teatro non susciterà solo sorpresa, ammirazione, o consenso per l’encomiabile lavoro di restauro. Per chi è più avanti negli anni si popolerà di ricordi, come è avvenuto a me poco tempo fa. Nel silenzio di una visita furtiva ho riudito le galoppate, l’accendersi delle musiche, gli spari che dalla sala sottostante giungevano alla nostra aula verso le cinque di certi pomeriggi, nei mesi di scuola con turno pomeridiano, subito dopo la guerra. Voci che sembravano chiamarci, promettendo di soddisfare l’inappagata fantasia di ragazzi di campagna, senza libri e senza giornalini. Ci spingevano a fantasticare su storie avventurose che potevamo appena intuire guardando e riguardando, all’entrata e all’uscita, la trama incompleta delle locandine e il seducente manifesto a colori che le accompagnava.
    Ma quelle voci non potevano bastare, ci mancavano le immagini. Così, intorno agli undici anni, per me e per tanti altri ragazzi iniziò l’atteso incontro col “Cinema Comunale” – questo il nome popolare del teatro a quel tempo – che ogni domenica andò rivelandoci mondi sconosciuti. Mi stupirono allora le nuvole bianche nei cieli scuri dei film messicani interpretati da Maria Felix e Pedro Armendariz, con Il massacro di Fort Apache entrai nel grandioso scenario della Monument Valley, fui tra i polverosi passeggeri della diligenza di Ombre rosse, mi incantò la favola barbarica de La corona di ferro e mi commosse La famiglia Sullivan, tragica vicenda della guerra appena conclusa. A pochi metri dal piccolo schermo quadrato, tra i manifesti dei film in programmazione esposti alle pareti sopra le due logge laterali, conobbi mari, praterie e foreste; percorsi le strade di secoli lontani, ammirai la bruna bellezza esotica di Dorothy Lamour in Uragano, la fiammante capigliatura di Maureen O’Hara nella coloratissima storia piratesca de Il Cigno nero, il volto indimenticabile di Ingrid Bergman in Casablanca. Infine, una domenica, Tito Gobbi col canto straziato di Rigoletto mi schiuse il magico universo dell’opera lirica.
    Ma la storia del teatro travalica naturalmente i brevi ricordi personali, avendo esso accolto tanti significativi momenti di vita cittadina. Le cerimonie e gli avvenimenti che ospitò, gli abbandoni e gli interventi che subì, la sua stessa costruzione, tutto rimanda al cammino della nostra comunità in questi ultimi centotrenta anni.

    (“Teatro Comunale Tullio Serafin. Cavarzere”, pagg. 15-16)



    Antonio Argnani (Faenza 1868 – Antibes 1947). Ritratto di Tullio Serafin.
    Pastello, 1910 ca. (Hotel “Ai vaporetti”, Cavarzere. Proprietà Luciano Guzzon)

    Interno del Teatro Tullio Serafin, settembre 2008. Foto di Duilio Avezzù.


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